La responsabilità medica

 

Purtroppo, sempre più spesso, oggigiorno si assiste a casistiche in cui i privati cittadini rimangono vittime di malasanità, dettata tanto dalla condotta dei medici sanitari, quanto dal malfunzionamento delle strutture di riferimento, con gravose conseguenze che possono condurre all'invalidità permanente e nei casi peggiori, anche alla morte dei pazienti.

 

Cerchiamo allora di fare chiarezza sui profili sostanziali e processuali di questo delicato tema che assume le forme ed il nome di “responsabilità sanitaria”.

 

NOZIONE

 

Per responsabilità sanitaria o medica s’intende la responsabilità professionale cui soggiace chi esercita una qualsivoglia attività sanitaria e che si erige a fonte di danni derivati al paziente da errori, omissioni o in violazione degli obblighi inerenti all'attività stessa.

 

NESSO CAUSALE

 

Affinché sussista la responsabilità del medico, i danni riportati dal paziente, in termini di lesioni alla salute psicofisica, valutate le inefficienze e carenze della struttura sanitaria, devono risultare causa della sua condotta, ovvero i danni riportati dal paziente devono essere conseguenza immediata e diretta dell’errore del sanitario, causa ed evento devono essere legati dal nesso causale o eziologico, in virtù del quale i secondi non si sarebbe verificato senza il primo…!

 

NATURA DELL’INADEMPIMENTO

 

La categoria soggettiva è molto ampia e la casistica è innumerevole; invero, le prestazioni mediche che si possono erigere a fonte di responsabilità sono le più variegate (diagnostiche, preventive, ospedaliere, terapeutiche, chirurgiche, estetiche, assistenziali ecc... ecc…), e possono essere svolte da ogni soggetto qualificabile come rientrante nella categoria di “personale sanitario” (infermiere, assistente sanitario, tecnico di radiologia, chirurgo … ecc..), non rilevando l’esercizio della relativa attività in forma autonoma o in equipe.

 

NATURA DELLA RESPONSABILITA’

 

 

La responsabilità dei sanitari può essere di tipo civilistico, penale, ma anche derivante da un omissione o insufficiente informazione. Premesso che sarà compito dello studio legale di riferimento individuare la natura della responsabilità del medico, analizziamole brevemente, evidenziandone le principali peculiarità.

 

 

SULLA RESPONSABILITA' CIVILE:

 

Siamo nel campo della violazione delle norme civili che consistono nel divieto di procurare danni ingiusti. La sanzione, di natura civilistica, consiste nel pagamento di una somma di denaro per compensare il danno arrecato.

 

SULLA RESPONSABILITA' PENALE:

 

 

Viene identificata nei casi in cui un medico ha assunto una condotta che ha portato a commettere un reato, che può assumere la fattispecie del reato (nei casi più gravi) oppure della contravvenzione (nei casi meno gravi).

 

 

L’azione giudiziaria intrapresa contro un medico prevede che il paziente leso/danneggiato dimostri sia l’elemento oggettivo (nesso tra condotta ed evento) che l’atteggiamento colposo.

 

Per quanto riguarda le sanzioni sono previste la reclusione e la multa per i reati, l’arresto e l’ammenda per le contravvenzioni. In alcuni casi possono essere aggiunte sanzioni di carattere accessorio quali ad esempio la sospensione dell’attività o addirittura l’interdizione dall’esercizio della professione medico sanitaria.

 

 

SULLA RESPONSABILITA' CONTRATTUALE ED EXTRACONTRATTUALE:

 

Un ulteriore elemento di distinzione è tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale:

 

mentre la prima deriva dall’inadempimento di un obbligo assunto con il paziente, la seconda riguarda danni arrecati in assenza di un rapporto contrattuale diretto. Alla base della responsabilità extracontrattuale c’è il principio del ‘Neminem Laedere’ (non ledere nessuno), che impone a ogni soggetto l’obbligo di non arrecare danni ad altri. In ambito medico, significa che il professionista deve agire con la massima diligenza per evitare qualsiasi forma di danno al paziente. Mentre la responsabilità della struttura sanitaria ha natura contrattuale, quella del medico è di natura extracontrattuale, salvo casi di obbligazione contrattuale assunta con il paziente.

 

Ne derivano due importanti conseguenze: la prima riguarda i termini della prescrizione della responsabilità medica, che nel caso “contrattuale” è di 10 anni mentre nel caso di “extra-contrattuale” è di 5 anni; la seconda riguarda invece l’onere probatorio a carico del paziente, che nei confronti della struttura sanitaria prevede soltanto la prova dell’assunzione dell’obbligazione da parte dell’ospedale e il conseguente inadempimento, mentre nei confronti del medico risulta molto più complesso.

 

 

SULLA RESPONSABILITA' PER OMISSIONI D'INFORMAZIONE:

 

Fonte di responsabilità medica può essere anche la violazione dei cosiddetti obblighi informativi che gravano in capo ai sanitari. La Legge n. 24/2017 (Legge Gelli/Bianco) ha rafforzato l’autonomia e la volontà del paziente prescrivendo molto chiaramente che un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato il consenso libero ed informato. Ciò significa che ogni paziente deve fornire il proprio consenso al trattamento sanitario in piena libertà e sopratutto dopo essere stato adeguatamente e compiutamente informato sulla natura del trattamento, sulle sue conseguenze e sui suoi rischi. Quindi la responsabilità del medico viene esclusa, non solo quando possono definirsi “congrui” gli interventi curativi effettuati, ma anche quando vengono assolti gli obblighi informativi.

 

 

SULLA COLPA DEL MEDICO:

 

Affinché la condotta del medico si eriga a fonte di sua responsabilità sotto i profili sopra analizzati, deve sussistere la sua colpa, lo stesso deve cioè, avere agito in spregio e non rispettando i principi di diligenza, prudenza o perizia.

 

Vediamo più nel dettaglio cosa s’intende:

 

La negligenza, ossia superficialità, trascuratezza, disattenzione.

 

Esempi tipici possono riguardare il medico che prescrive un farmaco al posto di un altro o del chirurgo che non si accorge della mancata rimozione di corpi estranei in un campo operatorio;

 

L’imprudenza, che può riferirsi alla condotta avventata o temeraria del medico che, pur consapevole dei rischi per il paziente, decide comunque di procedere con una determinata pratica;infine l'imperizia, che coincide con la scarsa preparazione professionale per incapacità proprie, insufficienti conoscenze tecniche o inesperienza specifica.

 

 

ASPETTO PROCESSUAL GIURIDICO:

 

Passando all’aspetto pratico sarà compito dello studio legale, la cui scelta quindi, assume forte rilevanza, analizzare la fattispecie e comprendere quale strumento processuale risulti più consono al raggiungimento dell’obbiettivo che ci si è preposti.

 

Cosa occorre fare quando si ritiene di aver subito un danno conseguente alla condotta di un sanitario?

 

La materia della responsabilità medica è stata oggetto di riforme (L. Gelli/Bianco n. 24 del 2017), tesa a mettere ordine nel campo che ci occupa, a ridurre i contenziosi giudiziari, nonché a meglio interpretare la Legge Balduzzi n. 189 del 2012, poco chiara ed ambigua.

 

La riforma Gelli, ha innovato la materia agendo sotto vari aspetti, ma i fondamentali possono individuarsi nella distinzione, ai fini della responsabilità, tra strutture sanitarie e singoli professionisti e nella responsabilità penale dei sanitari, riducendola ai soli casi di colpa lieve. Sotto il primo aspetto, infatti, l’articolo 7, ha introdotto il “doppio binario della responsabilità civile”: responsabilità medica contrattuale e responsabilità medica extra-contrattuale. La responsabilità della struttura sanitaria per somministrazione di cure inadeguate o non sicure era, e rimane dopo la legge Gelli Bianco, di tipo contrattuale. Si ritiene, infatti, che il paziente ricoverato in ospedale stipuli con l’ente che lo accoglie un vero e proprio accordo negoziale (un “contratto di spedalità”, per chiamarlo col suo vetusto appellativo).

 

Questo comporta, per il paziente, una serie di vantaggi: primo fra tutti, il fatto che non sia lui a dover provare la colpa della struttura, ma sia quest’ultima a dover provare di aver operato bene.

 

La prescrizione del diritto del paziente, avviene dopo 10 anni dal fatto, anziché dei 5 anni previsti in materia di responsabilità extracontrattuale.

 

Sotto il secondo aspetto, invece, degno di nota appare l’art. 590-ter del Codice Penale, secondo il quale “l’esercente la professione sanitaria il quale, nello svolgimento della propria attività, cagiona a causa di imperizia la morte o la lesione personale del paziente, risponde dei reati di omicidio colposo e lesioni personali colpose, solo in caso di colpa grave”.

 

L’articolo specifica che la colpa grave è esclusa laddove siano rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida e le buone pratiche clinico-assistenziali; fanno eccezione le rilevanti specificità del caso concreto.

 

Ciò significa, in altre parole, che nel caso in cui un medico agisce in conformità delle linee guida non risponde dei reati di omicidio colposo o di lesioni personali colpose.

 

 

ASPETTI PROCESSUALI:

 

Le forme e gli strumenti attraverso i quali far valere la responsabilità medica ed ottenere il relativo risarcimento dei danni, sono molteplici ed offrono diversi vantaggi. La Legge Gelli ha subordinato l’azione di risarcimento dei danni da responsabilità sanitaria alla presentazione del ricorso per ATP (accertamento tecnico preventivo con finalità conciliative) regolato dall’art. 696 bis cpc o in alternativa la mediazione. Strumenti legati da un rapporto di alternatività, ma entrambi come condizione di procedibilità della relativa domanda di risarcimento dei danni.

 

Procedimento per ATP con finalità conciliative:

 

Nel ricorso per ATP è obbligatoria non solo la partecipazione del paziente, ma anche del medico/struttura ospedaliera e delle imprese di assicurazione dei convenuti che all’esito della consulenza espletata nel procedimento per ATP, hanno l’obbligo di formulare l’offerta di risarcimento danni, o di comunicare i motivi per cui ritengono di non formularla.

 

Si tratta, tecnicamente, di una “condizione di procedibilità” dell’azione risarcitoria, che ha anche la meritoria peculiarità di non contemplare la condanna alle spese in caso di “soccombenza“, perciò il paziente, quand’anche avesse torto, non correrà il rischio di dover rifondere le spese alla struttura sanitaria (con ciò aggiungendo al danno anche la beffa).

 

 

PROCEDIMENTO DI MEDIAZIONE:

 

In forma alternativa all’ATP, regolata e prevista dall’art. 696 bis cpc, l’art. 8 Legge Gelli, fa salva la possibilità di esperire, come condizione di procedibilità, la mediazione. Procedimento, quest’ultimo, che già costituiva condizione di procedibilità per le cause sanitarie, oggi invece alternativa all’ ATP come condizione di procedibilità della relativa domanda di risarcimento dei danni.

 

Rimane, invece, esclusa la negoziazione assistita.

 

I vantaggi sostanziali e processuali che la mediazione offre sono molteplici, ed invero, oltre a consentire l’immediato espletamento della CTU medico-legale sul paziente, reca altri vantaggi nell’ottica di una definizione celere ed efficace del contenzioso (il che giova non solo al danneggiato, interessato ad ottenere velocemente il risarcimento, ma anche al medico, il quale ha la possibilità di dimostrare in tempi rapidi la correttezza del proprio operato). Più nello specifico, l’avvio del procedimento di mediazione consente di realizzare immediatamente la condizione di procedibilità. Resta comunque salva, almeno secondo la più recente giurisprudenza (a partire da Trib. Roma, ordinanza del 17 marzo 2014), la possibilità di svolgere una consulenza “d’ufficio” in sede di mediazione e di acquisirla poi nel giudizio ordinario in caso di mancata conciliazione delle parti (ciò in base a quanto previsto dall’art. 8, co. 4, del D.Lgs n. 28/2010, a mente del quale “[…] il mediatore può avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i tribunali”).

 

Nel procedimento di mediazione, tuttavia, non è previsto il litisconsorzio necessario dell’impresa di assicurazione del sanitario e/o della struttura sanitaria e, quindi, nemmeno l’obbligo di formulare l’offerta risarcitoria.

 

 

A contrario, i vantaggi della scelta del rito ex art. ex art 669 bis cpc sono:

 

I) il primo, come già anticipato, si concretizza nell’obbligo dell’impresa di assicurazione di formulare l’offerta risarcitoria o di esplicitarne i motivi ostativi;

 

II) il secondo, invece, è stabilito dal comma 3 dell’art. 8 della Legge, secondo cui l’espletamento dell’accertamento tecnico preventivo impone la trattazione della successiva causa (ove la conciliazione non riesca o il procedimento non si concluda nel termine perentorio di 6 mesi) secondo il rito sommario di cui agli artt. 702 bis e ss c.p.c. (più “snello” e rapido del procedimento ordinario);

 

III) un ultimo vantaggio è ricollegato alle conseguenze derivanti dalla mancata partecipazione al procedimento dell’impresa di assicurazione (considerata litisconsorte necessario); infatti, come stabilisce il predetto comma 3, “in caso di mancata partecipazione, il giudice condanna le parti che non hanno partecipato al pagamento delle spese di consulenza e di lite, indipendentemente dall’esito del giudizio, oltre che ad una pena pecuniaria, determinata equitativamente, in favore della parte che è comparsa alla conciliazione”.

 

ATP e mediazione sono fasi stragiudiziali che se non si concludono con esito conciliativo sono necessariamente seguite dalla fase processual-giudiziale nei confronti della struttura sanitaria per responsabilità contrattuale o del medico nel caso di responsabilità extracontrattuale.

 

La domanda rivestirà la forma del giudizio civile ordinario, senza alcun vincolo di forma, se il danneggiato abbia esperito in via preliminare il procedimento di mediazione, ovviamente con esito negativo;potrà però, scegliere tra atto di citazione o ricorso ex art. 702 bis cpc; se, invece, in fase preliminare si è optato per il ricorso di ATP il successivo giudizio dovrà necessariamente essere quello ex art. 702 bis cpc che va proposto nel termine di 90 giorni dal deposito della CTU nell’ambito del ricorso ex art. 696 bis cpc o della scadenza del termine perentorio di sei mesi dalla presentazione della domanda ex art. 696 bis cpc.

 

Di fatto, dunque, un paziente che si ritenga danneggiato da prestazioni sanitarie inadeguate (o, meglio, il suo avvocato) può alternativamente:

 

  • accedere alla procedura di consulenza preventiva (se la ritiene utile alla definizione della controversia),

 

oppure

 

  • aprire una mediazione (se la consulenza preventiva fosse inutile, o se altra strategia processuale lo suggerisse).

 

IL GIUDIZIO DI MERITO, IN PARTICOLARE L'AZIONE DIRETTA DEL DANNEGGIATO NEI CONFRONTI DELL'IMPRESA DI ASSICURAZIONE:

 

La principale novità della riforma è rappresentata dalla facoltà concessa al paziente di agire direttamente nei confronti dell’impresa di assicurazione della struttura sanitaria, nei limiti delle somme previste dal contratto assicurativo, regolata sulla falsariga di quella di cui all’art. 144 del codice delle assicurazioni per i sinistri derivanti dalla circolazione stradale (art. 12); ricordiamo che nel nostro ordinamento una simile possibilità non è prevista negli infortuni sul lavoro e in alcuna altra azione risarcitoria, eccezion fatta per i sinistri stradali.

 

Detto procedimento prevede la presenza necessaria in giudizio anche del soggetto (struttura sanitaria/medico in libera professione) titolare del contratto di assicurazione.

 

Al momento, tuttavia, questa possibilità non è concretamente attivabile in ragione della mancata approvazione del decreto ministeriale al quale è demandata la disciplina e i requisiti minimi delle polizze assicurative (art. 10, comma 6) e alla cui entrata in vigore è subordinata la stessa vigenza della norma sull’azione diretta.

 

 

Se ritieni di aver subito un danno da responsabilità medica / malasanità, lo Studio Legale Avv. Francesca Lombardino, con studio a Mazara del Vallo (TP) è a tua disposizione per valutare se ci sono gli estremi per richiedere e ottenere un risarcimento.